Sunday, July 01, 2007

Genova, 30 giugno 2007

C’est difficile écrire maintenant, quelque jour après ma rentrée en Italie.
En fait ça serait difficile quand même car c’est impossible décrire avec des mots le mélange de sensations que j’ai prouvé au moment de mon départ de Toulouse. Bien sur j’avais envie de rentrer car c’était quatre mois que je ne voyais pas ma ville, ma mer, ma maison. Mais j’étais aussi très triste, en pensant que une des expériences plus importantes de ma vie allait terminer, que la plupart des gens que j’ai connues je ne les aurais plus vues, mais surtout que le rapport avec les personnes qui avaient partagé avec moi les émotions de cette magnifique aventure, ne serait pas terminé, mais il serait quand même changé.
Je n’étais pas le premier de la compagnie à laisser Toulouse, donc j’avais déjà un peu vécu cette sensation au moment des autres départs. Un en particulier avait été remarquablement dur, pour ce qui avait été le développement de la soirée, mais surtout pour le rapport spécial qui me liait à cette personne; mais à ce moment là on avait encore un mémoire auquel penser, donc cette sensation ne pouvait pas durer longtemps, car il fallait rester concentrés pour mieux affronter ce dernier obstacle.
La nuit de mon départ ce mélange de sensations était beaucoup plus intense. Le décalage des adieux m’a aidé à m’habituer doucement à l’idée du détachement, mais quand on est restés en deux à la gare pendant que mon amie signait ma balle de rugby, j’ai vraiment fait un grand effort pour retenir mes larmes. Bon, c’est vrai, que 15 heures après (je ne sais pas avec quelles énergies!) j’étais à Crevari, à rigoler avec des amis, bien content d’être chez moi, mais je trouve que c’était normal à ce moment là; même maintenant, après une semaine je me sens plus content d’être rentré que triste d’être parti, mais il s’agit de sensations que je trouve qui iront s’alterner souvent dans les prochaines semaines.
Enfin, c’est très probable que j’aurai besoin des rattrapages de septembre pour conquérir mon Master donc je devrai rentrer pour une dizaine de jours, mais du point de vue de l’enrichissement humain je pense qu’il faut considérer l’aventure toulousaine terminée. Alors je veux seulement remercier tous ceux qui ont partagé avec moi ces émotions; je m’adresse surtout je veux dire merci à un certain nombre de personnes qui ils ont été importants pour moi; je ne l’ai jamais leur dit mais j’espère qu’ils l’aient compris quand même. Sans doute il y en a qui j’aurais voulu connaître mieux, mais le temps limité et les contingences n’ont pas donné cette possibilité. Je sais que j’aurais pu mieux gérer mon temps, que j’aurais pu mieux étudier et vivre de façon plus intense certain situations; mais je sais aussi que le regret est un des mes activités favorites…

Monday, June 18, 2007

Ultime Cartoline da Toulouse

Ieri sera dopo aver passato tutta la giornata sul mémoire ho sentito davvero il bisogno di staccare e sono uscito a godermi il tramonto sulla Garonne, uno degli ultimi dato che fra non molto rienterò in Italia. Ecco alcune delle foto scattate.


Sunday, May 06, 2007

Voilà l'Ardèche, où on peut se promener dans le silence,contempler la beauté des panoramas de campagne,
regarder ravis et en paix le coucher du soleil,
se relaxer dans l’eau de la rivière,
mais surtout FAIRE DU CANOE,
30 KM AU MOINS,
MAIS TOUJOURS EN EXTREME TRANQUILLITE…

Wednesday, March 07, 2007

Siamo di nuovo vicini agli esami, ma in questi giorni siamo anche alle prese con la scelta del sujet du mémoire, cioè l’argomento su cui sviluppare la tesina del master; per me, ma anche per altri miei compagni non si tratta di una scelta facile perciò leggere ogni tanto questo passaggio tratto da una conferenza di Max Weber aiuta a non scoraggiarsi. Credo che chiunque abbia fatto o faccia ricerca nella vita non possa non condividere questi pensieri e queste sensazioni.

Normalmente l’idea matura soltanto sul terreno di un duro lavoro. L’idea non sostituisce il lavoro. E il lavoro, da parte sua, non può sostituire o suscitare a forza l’idea, più di quanto non possa farlo la passione. L’una e l’altro la suscitano. Ma essa viene quando le aggrada e non quando piace a noi. Le cose migliori vengono in mente a qualcuno fumando il sigaro sul divano oppure passeggiando per una strada lievemente in salita o in modo analogo, ma in ogni caso non quando le si aspetta, non lambiccandosi a tavolino. Esse non sarebbero però certamente venute in mente senza avere dietro di sé quel lambiccarsi a tavolino e quella ricerca appassionata. Comunque sia, chi lavora scientificamente deve anche tenere conto di quel caso che pervade ogni lavoro scientifico: verrà o non verrà l’ispirazione?

Tuesday, January 09, 2007

Frans de Waal è uno dei maggiori etologi che si occupano di studiare il rapporto tra gli esseri umani e gli altri animali. In un Nova 24 (supplemento scientifico del Sole 24 Ore in edicola tutti i giovedì) del giugno scorso (sì, lo so, sono un po' indietro con la lettura, ma vi assicuro che il tempo a disposizione è davvero poco!) ho letto un passaggio tratto da un suo libro dal titolo "La scimmia e l'arte del sushi" che ho trovato molto interessante, pertanto lo riporto qui sotto.

Noi ci definiamo come l'unica specie dotata di cultura e crediamo generalmente che la cultura ci abbia permesso di “rompere” con la natura.(...) Lo scopo del mio libro è esplorare la possibilità che gli animali posseggano una cultura. Vi sono molte ragioni per le quali valga la pena intraprendere questa esplorazione, ne voglio sottolineare due. In primo luogo, le prove sempre più numerose di una cultura animale – nascoste perlopiù in resoconti tecnici o in studi sul campo – meritano di essere rese più universalmente note. Tuttavia, prima di poter prendere in considerazione questo materiale, dobbiamo abbandonare provvisoriamente alcune delle connotazioni della parola “cultura” che ci sono care. La parola cultura evoca immagini legate all'arte e alla musica classica, ai simboli e al linguaggio, a un patrimonio da preservare in opposizione alla società dei consumi di massa. Una cosiddetta persona colta possiede gusti raffinati, un intelletto ben sviluppato ed un insieme particolare di valori e principi morali. Non è questo il sènso in cui gli scienziati usano “cultura” in rapporto agli animali. Cultura significa semplicemente che conoscenza e comportamenti sono acquisiti da altri – spesso, ma non sempre, dalla generazione più vecchia – che è la ragione per cui due gruppi della stessa specie possono comportarsi diversamente. Poiché la cultura implica un apprendimento da altri, prima di chiamare culturale un certo tratto dobbiamo poter escludere che l’individuo lo abbia acquisito da solo. La seconda ragione per un libro sulla cultura animale è che ci permette di disfarci di un altro dualismo occidentale ormai antiquato: l’idea che la cultura umana sia l’opposto della natura umana. Noi occidentali sembriamo avere un bisogno incontrollabile di dividere il mondo in due: buono contro cattivo, noi contro loro, femminile contro maschile, appreso contro innato, e così via. Le dicotomie aiutano a organizzare il pensiero, ma al prezzo di trascurare le complessità e le sfumature di significato. È il pensatore eccezionale che riesce a tenere insieme nella mente due pensieri contraddittori contemporaneamente; ma è di questo che spesso c’è bisogno per arrivare alla verità. Così, mentre è corretto dire che l'apprendimento concerne ogni comportamento, la stessa cosa può essere detta del patrimonio genetico, così che nessun comportamento, umano o animale, è dettato puramente da una sola delle due influenze. (...) Data la vastità dei problemi che vorrei affrontare, mi sono trovato a scrivere su argomenti che si trovano ai margini della mia competenza, dalla bontà umana alla filosofia orientale, dall’antropomorfismo al senso estetico. Anche se questa non è la prima volta che mi avventuro fuori dal mio ambito di competenza immediato, che è osservare i primati e indurli a svelare i loro segreti cognitivi, il mio compito qui è discutete i pregiudizi culturali, cosa che mi fa sentire come un cane che insegue la propria coda senza mai essere davvero capace di raggiungerla. (...) Spesso ho l'impressione di essere circondato da due tipi di persone: chi non è preoccupato di essere paragonato agli animali e chi lo è. Ho trovato questi atteggiamenti opposti nei grandi filosofi, nei miei insegnanti, nei miei amici e colleghi e non ho idea di quale sia la ragione per la quale si finisce in un campo o nell'altro. Deve avere qualcosa a che fare con il livello di empatia che si prova verso gli animali, anche se ciò sposta semplicemente la questione sulla ragione per cui alcune persone sentono un legame con gli animali e altre no.