Tuesday, January 09, 2007

Frans de Waal è uno dei maggiori etologi che si occupano di studiare il rapporto tra gli esseri umani e gli altri animali. In un Nova 24 (supplemento scientifico del Sole 24 Ore in edicola tutti i giovedì) del giugno scorso (sì, lo so, sono un po' indietro con la lettura, ma vi assicuro che il tempo a disposizione è davvero poco!) ho letto un passaggio tratto da un suo libro dal titolo "La scimmia e l'arte del sushi" che ho trovato molto interessante, pertanto lo riporto qui sotto.

Noi ci definiamo come l'unica specie dotata di cultura e crediamo generalmente che la cultura ci abbia permesso di “rompere” con la natura.(...) Lo scopo del mio libro è esplorare la possibilità che gli animali posseggano una cultura. Vi sono molte ragioni per le quali valga la pena intraprendere questa esplorazione, ne voglio sottolineare due. In primo luogo, le prove sempre più numerose di una cultura animale – nascoste perlopiù in resoconti tecnici o in studi sul campo – meritano di essere rese più universalmente note. Tuttavia, prima di poter prendere in considerazione questo materiale, dobbiamo abbandonare provvisoriamente alcune delle connotazioni della parola “cultura” che ci sono care. La parola cultura evoca immagini legate all'arte e alla musica classica, ai simboli e al linguaggio, a un patrimonio da preservare in opposizione alla società dei consumi di massa. Una cosiddetta persona colta possiede gusti raffinati, un intelletto ben sviluppato ed un insieme particolare di valori e principi morali. Non è questo il sènso in cui gli scienziati usano “cultura” in rapporto agli animali. Cultura significa semplicemente che conoscenza e comportamenti sono acquisiti da altri – spesso, ma non sempre, dalla generazione più vecchia – che è la ragione per cui due gruppi della stessa specie possono comportarsi diversamente. Poiché la cultura implica un apprendimento da altri, prima di chiamare culturale un certo tratto dobbiamo poter escludere che l’individuo lo abbia acquisito da solo. La seconda ragione per un libro sulla cultura animale è che ci permette di disfarci di un altro dualismo occidentale ormai antiquato: l’idea che la cultura umana sia l’opposto della natura umana. Noi occidentali sembriamo avere un bisogno incontrollabile di dividere il mondo in due: buono contro cattivo, noi contro loro, femminile contro maschile, appreso contro innato, e così via. Le dicotomie aiutano a organizzare il pensiero, ma al prezzo di trascurare le complessità e le sfumature di significato. È il pensatore eccezionale che riesce a tenere insieme nella mente due pensieri contraddittori contemporaneamente; ma è di questo che spesso c’è bisogno per arrivare alla verità. Così, mentre è corretto dire che l'apprendimento concerne ogni comportamento, la stessa cosa può essere detta del patrimonio genetico, così che nessun comportamento, umano o animale, è dettato puramente da una sola delle due influenze. (...) Data la vastità dei problemi che vorrei affrontare, mi sono trovato a scrivere su argomenti che si trovano ai margini della mia competenza, dalla bontà umana alla filosofia orientale, dall’antropomorfismo al senso estetico. Anche se questa non è la prima volta che mi avventuro fuori dal mio ambito di competenza immediato, che è osservare i primati e indurli a svelare i loro segreti cognitivi, il mio compito qui è discutete i pregiudizi culturali, cosa che mi fa sentire come un cane che insegue la propria coda senza mai essere davvero capace di raggiungerla. (...) Spesso ho l'impressione di essere circondato da due tipi di persone: chi non è preoccupato di essere paragonato agli animali e chi lo è. Ho trovato questi atteggiamenti opposti nei grandi filosofi, nei miei insegnanti, nei miei amici e colleghi e non ho idea di quale sia la ragione per la quale si finisce in un campo o nell'altro. Deve avere qualcosa a che fare con il livello di empatia che si prova verso gli animali, anche se ciò sposta semplicemente la questione sulla ragione per cui alcune persone sentono un legame con gli animali e altre no.

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